Foto by Jupitefab
Ragazzi.
Ogni mattina e ogni pomeriggio Ida affrontava con loro una delle più fastidiose e paradossali prove del XXI secolo: il pendolarismo. Sul suo treno ne salivano di diverse età, dai più giovani ed immaturi ai più adulti comunque immaturi.
Ogni giorno li ascoltava, alle volte volontariamente, altre senza volerlo davvero.
Il suo ascolto si appoggiava su di loro come una farfalla su un fiore, aspirava un po’ della loro argomentazione fino a capirne il senso e poi li lasciava per volare in altri lidi, il tutto senza una vera forza di volontà a comandarlo.
E così scopriva molti, moltissimi particolari attorno a cui ruotava la loro vita, così sognatrice e determinata nell’ingenuità della loro età.
Un pensiero nasceva spontaneo ogni santo giorno, mentre li ascoltava, li studiava, li osservava.
Anche Ida era stata come loro, aveva viaggiato con la fantasia verso luoghi impensabili orami alla sua età, aveva vissuto schiacciata dalla paura di essere sbagliata, tormentata dal giudizio degli altri, aveva avuto il coraggio di andare contro corrente, ribellandosi al sistema convinta della sua anarchia, rivelatasi poi ben poco anticonformista nella massa di alternativi che lottavano per il nulla accanto a lei.
Un tempo era stata uguale a loro, in tutto e per tutto.
Anzi, forse non proprio in tutto.
Un fattore non ritrovava e non riusciva a vedere in quei ragazzi, nonostante tutto l’impegno che ci mettesse nel tuffarsi in quel contemporaneo mondo moderno.
Ciò che mancava era ciò che al contrario identificava lei e la sua generazione, una caratteristica unica che li aveva fatti crescere tramite i litigi che provocava, le discussioni, i battibecchi.
Ciò che non vedeva più in loro era la singolarità.
Quella strana autenticità che differenziava lei e i suoi compagni gli uni dagli altri venti anni prima, quella scintilla di affermazione, quel sentirsi capaci di andare avanti da soli, appartenendo a qualcosa solo per il tempo necessario, solo in quelle poche ore in cui si stava in compagnia per poi riscoprirsi singoli, unici nel momento in cui si tornava da soli, nelle proprie camerette a studiare ed immaginare il futuro senza la schiavitù di un mondo virtuale dentro al quale quei ragazzi moderni invece erano rinchiusi.
Guardandoli chini sui loro smartphone, Ida realizzò che quei ragazzi non stavano mai davvero soli.
Non erano mai veramente singoli. Anche nei momenti di isolamento, nelle loro camerette, nel ritorno a casa da soli sul bus o sul treno quando tutti gli amici smontavano, loro non erano soli.
Avevano in mano le loro compagnie, quelle che lei aspettava con pazienza in campo nei caldi pomeriggi estivi. Avevano in mano i loro amici, le loro conoscenze, i film che lei andava a vedere di persona al cinema, i libri che lei andava a comprare in libreria, i dischi che lei andava ad ascoltare alla Feltrinelli con le amiche, con quelle cuffie gigantesche che ne proponevano un solo estratto, una centrifuga, qualche minuto capace di saziare la sua voglia di musica.
Quei ragazzi in mano, dentro a quello smartphone, avevano tutto. E la loro singolarità giaceva sola in un angolo dello zaino, lì in fondo in fondo, sotto a quella moderna ricerca di contatto, illusione eterea, fluttuante nello schermo di un telefono.
Guardandoli la mente di Ida venne adombrata da una paura gelida, una sensazione di terribile angoscia: la paura che quella singolarità venisse abbandonata in futuro, quando quei ragazzi avrebbero lasciato lo zaino a casa in cambio di una ventiquattro ore o di una borsa griffata con cui si sarebbero recati omologati al lavoro. La paura di vedere quella singolarità dimenticata insieme a quello zaino memore di mille avventure, rilegato al fondo di un cassetto nell’armadio della cameretta deserta, il suo grido inascoltato, la sua voglia di esistere schiacciata, frantumata dalla monotonia di un mondo senza eccezioni, senza spinte, senza sogni individuali. Un mondo di burattini, di anime spente.
Il treno arrivò a destinazione e Ida osservò quei ragazzi scendere sul binario con la solita trasandatezza svogliata con cui convivevano. Si chiese se mai almeno uno di loro avrebbe avuto il coraggio di tenere stretta a se quella singolarità non ancora estinta, presente nell’animo e sotto sotto curiosa di scoprirsi, se mai sarebbe stato in grado di farne tesoro per distinguersi dalla massa, per perseguirsi, non per inseguire quel gregge di grigia omologazione che lo aspettava nel suo incerto futuro.
Li guardò allontanarsi. Li studiò per gli ultimi istanti i loro occhi puntati sugli schermi dei telefoni nonostante la bella giornata di sole.
Li guardò avventurarsi verso il futuro e in un attimo, sconsolata, si diede una risposta.
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Buona lettura!
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